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PRATO – “Prato è sotto tiro. Le vicende delle aziende cinesi con i lavoratori pakistani in sciopero, con annesse sprangate, hanno fatto precipitare la reputazione del distretto, che finisce all’attenzione dell’opinione pubblica additato come esempio di illegalità. Di più: come un’area industriale in disfacimento, senza alcuna distinzione fra il buono e il cattivo, il virtuoso e il delinquente, il performante e l’approfittatore”. A dirlo è Francesco Marini, presidente della sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord
“Va detto che ce la siamo cercata. Non tutti, beninteso: c’è anche chi sta subendo questo linciaggio senza averne responsabilità – dice Marini – La nostra associazione per esempio non se l’è cercata affatto; anzi, come ricordava un nostro recente comunicato stampa, è dagli anni Novanta che denuncia pubblicamente – prima come Unione Industriale Pratese, poi come Confindustria Toscana Nord – il problema dell’illegalità, che ha un suo punto particolarmente critico nelle imprese cinesi dell’abbigliamento. Non tutte, beninteso, e non soltanto in quelle. Abbigliamento, non tessile: non produzione di filati e tessuti, che rimane in larghissima prevalenza in mani locali, così come sono in mani locali anche alcune belle realtà dell’abbigliamento-maglieria”.
“Se l’è cercata – prosegue Marini – procurandola sciaguratamente a tutti noi, chi fino a ieri – e forse qualcuno ancora oggi – ha negato l’evidenza dell’illegalità imperante in alcune sacche letteralmente marce dell’imprenditoria; e anche chi a un certo punto ha smesso di negare ma non ha potuto, saputo o voluto combattere questi fenomeni. In questo clima si collocano focus e ricostruzioni della situazione pratese che mescolano un po’ tutto, dai problemi sociali e di ordine pubblico a quelli ambientali, veri o presunti. Perfino un’esperienza d’eccellenza come la depurazione centralizzata, che vengono a studiare da mezza Europa, finisce nel clima di sospetto”.
“Quello che non si sottolinea abbastanza – dice Marini – è che il distretto tessile il suo percorso verso la modernità e la qualificazione l’ha fatto e l’ha fatto bene. Che praticamente tutte le aziende di una qualche consistenza hanno una lunga serie di certificazioni, di quelle che si conquistano con fatica, dovendo documentare anche le minime cose. Che molte aziende hanno prestazioni ambientali e sociali che vanno ben al di là di quanto richiede la legge, prestazioni che hanno conseguito con forti investimenti perché ci credono e perché essere ‘al di sopra di ogni sospetto’ paga dal punto di vista dell’appetibilità dei prodotti sul mercato. Che se l’andamento del tessile pratese è attualmente affannoso non è perché le aziende non sono capaci di performare, ma perché è in atto una crisi di domanda senza precedenti. Che si sta facendo di tutto per rimanere in piedi, per salvaguardare occupazione e competenze, pronti a intercettare una rinnovata, e auspicabilmente non troppo lontana, ripresa del mercato”.
“Come si esce da questa trappola reputazionale? – dice ancora Marini – Occorre senso di responsabilità, della nostra comunità in primo luogo, che deve guardare a se stessa con la severità necessaria a ovviare a ciò che non va, ma anche con la benevolenza dovuta a quanto di buono – ed è tanto, ma proprio tanto – si trova in questa città, nella sua imprenditoria e nei lavoratori. Ma altrettanto senso di responsabilità occorre anche da parte di chi parla e scrive di Prato. Distinguere il grano dal loglio, la parte buona della città, quella che dà occupazione qualificata, da quella compromessa con l’illegalità; riconoscere le imprese che, pur col fiato grosso, continuano a correre senza perdere la bussola della correttezza, da quelle che già da lungo tempo si sarebbero dovute sanzionare e chiudere”.
“A chi – operatore dell’informazione, studioso, persona impegnata nella politica e nell’amministrazione pubblica – conclude – vuole conoscere Prato dico: non piegatevi ai luoghi comuni, venite a conoscere la città. Tutta, compresa quella che non ha niente da invidiare alle realtà industriali più moderne e avanzate”.