Getting your Trinity Audio player ready...
|
PRATO – Si è svolta in modo ordinato e pacifico la festa del sacrificio celebrata questa mattina nel piazzale interno del complesso di San Domenico a Prato.
Sono stati circa ottocento i musulmani che hanno partecipato alla preghiera comunitaria, organizzata dal Centro islamico bengalese. Oltre ai membri dell’associazione promotrice, erano presenti fedeli di varia nazionalità, in particolare pakistani e marocchini. Arrivati di buon mattino in San Domenico, ex convento del centro storico, dotato di ampi spazi utilizzati per ospitare eventi culturali e sociali, i fedeli musulmani hanno preparato il piazzale, solitamente usato come parcheggio, dispiegando tappeti e stuoie per far inginocchiare i partecipanti alla preghiera. È la seconda volta che la Diocesi di Prato concede questo ambiente al Centro islamico bengalese, una analoga iniziativa si era tenuta il 30 marzo scorso, per la fine del Ramadan, e anche in quella occasione tutto si era svolto in maniera ordinata e rispettosa dei luoghi.
“Siamo venuti a Prato per lavorare, viviamo in questa città da tempo e abbiamo chiesto uno spazio per poterci riunire in preghiera – dice Omar Faruk a nome del Centro islamico bengalese – ringraziamo la Chiesa pratese, il Comune e la Questura per averci dato questa possibilità”.
“La scelta della Diocesi di Prato si pone in piena e perfetta continuità con il magistero della chiesa cattolica – spiega il vescovo Giovanni Nerbini – San Giovanni Paolo II sulla scia del Concilio Vaticano II, ha indicato tre esigenze fondamentali del dialogo interreligioso: la reciproca conoscenza, la scoperta e valorizzazione di ciò che è buono e vero fuori della Chiesa, la collaborazione. La scoperta e valorizzazione riguarda non soltanto i singoli non cristiani, ma anche gli aspetti delle stesse religioni. Nella Redemptor Hominis si parla dei “tesori della religiosità umana” e del “magnifico patrimonio dello spirito umano, che si è manifestato in tutte le religioni”.
Nella Ecclesia in Asia San Giovanni Paolo II affronta il tema del pluralismo religioso: “L’Asia è anche la culla delle maggiori religioni del mondo, quali il giudaismo, il cristianesimo, l’islamismo, l’induismo. È luogo di nascita di molte altre tradizioni spirituali, quali il buddismo, il taoismo, il confucianesimo, lo zoroastrismo, il giainismo, il sikhismo e lo shintoismo… La Chiesa ha il rispetto più profondo per queste tradizioni e cerca di intrecciare un dialogo sincero con i loro seguaci. I valori religiosi che esse insegnano attendono il loro adempimento in Gesù Cristo”.
“Nell’enciclica Fides et Ratio (1998), al numero 2.2, vengono anche per la prima volta nel magistero, approfonditi e definiti gli elementi positivi delle altre religioni: essi sono la preghiera, i testi religiosi e i precetti morali. Tutto questo non sminuisce né svilisce la convinzione profonda di ogni credente che, secondo la tradizione, il cristianesimo è la religione della vera comunione con Dio, e non è una religione che parla “in nome di Dio”, “su” Dio, o “in vece sua”. Il mistero dell’incarnazione indica il punto di distinzione fondamentale del cristianesimo dalle altre religioni, e chiarisce il tema della rivelazione. Circa la “collaborazione” è patrimonio comune di questi ultimi trenta anni la certezza che tutte le religioni sono chiamate a superare i fondamentalismi, ad emarginare ogni violenza ed offesa della persona e dei popoli ed a lavorare incessantemente per costruire rapporti di amicizia e di pace”, conclude il vescovo Giovanni Nerbini.
Contraria le europarlamentari della Lega, Susanna Ceccardi e Silvia Sardone: “Come comunicato dalla Diocesi di Prato, oggi il piazzale interno del complesso di San Domenico ospita nuovamente una ricorrenza religiosa musulmana: il Centro islamico bengalese vi ha organizzato la festa del sacrificio. Una decisione che purtroppo non rappresenta una novità, visto che già durante la fine del Ramadan era stata autorizzata una celebrazione simile nello stesso luogo. Francamente rimaniamo basite di fronte a questo ennesimo cedimento culturale. Parlare di “integrazione” quando si concede l’uso di spazi ecclesiastici per cerimonie di altre fedi non è rispettoso della nostra storia e delle nostre radici. Siamo di fronte a un’integrazione rovesciata, dove non sono gli ospiti ad adattarsi, ma è la nostra identità a dover fare passi indietro. Utilizzare un’area che fa parte del complesso della chiesa cattolica per celebrare riti islamici è una scelta sconcertante, soprattutto in un momento storico in cui l’islamizzazione dell’Europa non è più un rischio ipotetico, ma una realtà che suscita crescente preoccupazione in molti governi del continente. Non possiamo rimanere indifferenti: difendere la nostra identità non significa discriminare, ma preservare ciò che siamo: una civiltà che ha nella cultura cristiana, nella storia europea e nei suoi simboli i fondamenti della propria esistenza”.