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PRATO – Una caccia all’uomo pianificata e portata a termine con una ferocia inaudita ha scosso il cuore di Prato, culminando nell’arresto di un imprenditore cinquantenne, originario di Napoli e residente a Quarrata, titolare di diversi locali pubblici.
Il Giudice per le indagini preliminari, accogliendo la richiesta della Procura, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per tentato omicidio nei confronti dell’uomo, accusato di aver massacrato di botte, lo scorso 26 ottobre, un 42enne italiano tra via Rolando Pagli e la piazzetta adiacente. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la spedizione punitiva sarebbe scattata come ritorsione dopo che la vittima era stata sorpresa a consumare sostanze stupefacenti all’interno del bagno del locale gestito dall’indagato.
L’aggressione, definita dagli investigatori come un atto di violenza unilaterale di rara brutalità, è iniziata con una serie di pugni sferrati alle spalle che hanno fatto rovinare la vittima a terra. Una volta al suolo, il 46enne — incapace di reagire anche a causa dell’assunzione di cocaina — è stato colpito ripetutamente alla testa con calci violentissimi che hanno provocato una copiosa emorragia. Solo l’intervento di una donna legata sentimentalmente all’aggressore, che lo aveva accompagnato nella ricerca del bersaglio a bordo di un’auto, ha interrotto la furia dell’uomo. Le condizioni della vittima, tuttora ricoverata al nosocomio pratese, sono disperate: la consulenza tecnica ha accertato un pericolo di vita persistente, con un quadro clinico che parla di coma profondo, necessità di intubazione, tromboembolia polmonare e una tetraparesi flaccida che interessa tutti e quattro gli arti a causa di gravi danni cerebrali.
Le indagini del Nucleo investigativo dei carabinieri di Prato si sono rivelate serrate e determinanti, basandosi sull’analisi minuziosa delle riprese delle telecamere di videosorveglianza, su intercettazioni telefoniche e su accertamenti tecnici compiuti sugli indumenti e sulle scarpe dell’arrestato. Nonostante il cinquantenne avesse tentato inizialmente di fornire una versione dei fatti alternativa e inattendibile, le prove raccolte lo hanno inchiodato, portando al suo trasferimento nel carcere La Dogaia.
Parallelamente, la posizione della donna che era con lui si è fatta estremamente delicata: le sue dichiarazioni, giudicate non veritiere dagli inquirenti, le sono valse un’accusa per il reato di false dichiarazioni al pubblico ministero.


