Getting your Trinity Audio player ready...
|
Nel caso del tessile, il quadro attuale è differenziato per le diverse tipologie di prodotti: per citare degli esempi rappresentativi, i filati cardati o pettinati a maggioranza lana subivano prima degli aumenti un dazio del 6%, che andrà quindi al 26%; ben più pesante il risultato finale dei tessuti cardati o pettinati a maggioranza lana, che già avevano un dazio del 25% e che raggiungeranno quindi il 45%. Confezioni tessili come le sciarpe arriveranno a seconda delle tipologie a dazi finali dal 22% al 31,7%. Molto differenziata la situazione per i capi di abbigliamento: si va da tipologie che finora non erano gravate da nessun dazio e quindi arriveranno “solo” al 20% ad altre che sfioreranno il 35%.
“Siamo preoccupati per il quadro che si va definendo via via che si approfondiscono entità e modalità di applicazione dei nuovi dazi americani – dichiara Francesco Marini, presidente della sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord – Il quadro si fa anzi più fosco quando si vanno a considerare i dazi che gli USA stanno imponendo a paesi dell’estremo oriente che attualmente sono spesso destinatari delle commesse dei brand americani: paesi quindi dai quali i brand stessi devono poi importare i capi finiti. La Cina andrà a +34%, il Vietnam a +46%, la Cambogia a +49%. Viceversa una nazione come la Turchia, forte nel tessile, viene risparmiata, per motivi economici o politici, limitando i dazi al 10%: le nostre produzioni tessili, già penalizzate dal punto di vista della competitività dai molti gap nazionali, rischiano di trovarsi in una difficoltà ancora maggiore rispetto ai nostri concorrenti. Gli effetti diretti, con il +20% inflitto all’Unione Europea, e indiretti di questa situazione si faranno sentire: anzi, gli effetti indiretti rischiano di essere ben più pesanti di quelli che si potrebbero ipotizzare sulla base della quota di export tessile pratese diretto verso gli Usa, che è intorno al 6% per i tessuti e inferiore al 2% per i filati. Il deprezzamento del dollaro sta già erodendo i nostri compensi: il rischio è ora che gli ordini si riducano in conseguenza di una domanda americana verosimilmente destinata a contrarsi. Gli stessi brand statunitensi sembrano non tutti in consonanza con le politiche trumpiane: sono di ieri dichiarazioni preoccupate della United States Fashion Industry Association che vede messi in discussione flussi commerciali e rapporti di subfornitura consolidati. Le strategie degli operatori americani della moda subiranno dei cambiamenti, se non ci saranno passi indietro da parte della loro amministrazione, e le nostre imprese dovranno rimanere ben attente a cogliere opportunità e minimizzare i danni. Danni che vanno messi in conto: uno studio Irpet reso noto in questi giorni calcola per la moda toscana, dal tessile all’abbigliamento al calzaturiero, una contrazione del valore aggiunto determinata dai dazi Usa a quota -1,2%, corrispondente a quasi 74 milioni.Il compito che attende l’Unione Europea è molto complesso: dovrà tenere una linea che non sia di acquiescenza ma che nello stesso tempo non inneschi reazioni eccessive che peggiorino il quadro. Il rischio forse più grave è infatti, anche per Prato, quello su scala globale, fra dazi Usa e dazi di reciprocità: il ristagno dei flussi commerciali, l’avvitamento dell’economia internazionale e la contrazione del potere d’acquisto dei consumatori”.