“Il velo e il matrimonio sono in accordo con la natura delle donne e con i reali interessi e bisogni della società”. È con queste parole che l’imam dell’Iran Ali Khamenei ha descritto i valori che le donne iraniane dovrebbero perseguire per scongiurare “la promiscuità promossa dalla cultura capitalista occidentale”. Parole che rimbalzano contro la disobbedienza civile messa in pratica da centinaia di ragazze e giovani donne del Paese scese in strada, sull’isola di Kish, per marciare in una maratona che ha catalizzato l’attenzione delle autorità e dei media di tutto il mondo.
L’evento sportivo, con oltre 5.000 partecipanti, è diventato il palcoscenico per un atto di sfida non violenta: diverse centinaia di donne hanno corso senza indossare il tradizionale copricapo islamico, l’hijab, il cui obbligo è in vigore dagli anni Settanta.
Questo gesto ha innescato una reazione immediata da parte del sistema giudiziario, che ha confermato la volontà del regime di mantenere il controllo sociale, in un Paese segnato da una crisi delle esecuzioni capitali, che colpiscono in modo sempre più considerevole le donne.
La repressione della disobbedienza a Kish
Il gesto delle partecipanti alla maratona sull’isola di Kish, una località turistica nel Golfo Persico, è stato interpretato come una chiara violazione delle normative sul codice di abbigliamento, in vigore dal 1979. Le immagini delle atlete senza velo hanno fatto il giro del web e hanno portato all’intervento delle autorità giudiziarie locali, che hanno annunciato l’arresto di due dei principali organizzatori dell’evento.
L’organo ufficiale della magistratura, Mizan Online, ha riportato che uno degli arrestati è un funzionario della Kish Free Zone Organization, l’ente statale responsabile della gestione e promozione della zona franca dell’isola, mentre l’altro lavora per la compagnia privata che ha gestito l’organizzazione della maratona. La procura locale ha giustificato l’azione affermando che l’evento si è svolto in violazione della “decenza pubblica e della legge vigente”, nonostante i precedenti avvertimenti. È stato avviato un procedimento penale a carico degli organizzatori.
Questo episodio evidenzia che l’obbligo del velo continua a rappresentare un punto di frizione nel Paese, inaspritosi dopo le grandi proteste del 2022, scatenate dalla morte di Mahsa Amini, la giovane arrestata e uccisa dalla polizia morale per non aver indossato correttamente l’hijab.
“Esecuzioni capitali”: i dati del Cnri
Sulla scia della stretta sul codice di condotta, l’Iran sta affrontando un’allarmante escalation nell’uso della pena di morte come strumento di repressione politica e sociale. Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Comitato delle donne del Consiglio nazionale della Resistenza iraniana (Cnri), l’Iran detiene il triste primato mondiale per numero di esecuzioni di donne.
Il report indica che nei primi undici mesi del 2025, sono state giustiziate oltre 1.800 persone, tra cui almeno 57 donne. Questo dato riflette un incremento del 70% nelle esecuzioni femminili rispetto all’anno precedente. Le statistiche del Cnri rivelano anche che, nei sedici mesi successivi all’insediamento di Massoud Pezeshkian, attuale presidente della Repubblica Islamica dell’Iran dal 28 luglio 2024, sono state condannate a morte 78 donne, su un totale di oltre 2.600 esecuzioni.
Questa intensificazione delle condanne a morte è interpretata dal Comitato come una conseguenza della crisi politica e della disperazione del regime, che ricorre all’intimidazione per scongiurare un’insurrezione popolare.
Vulnerabilità e patibolo: il ritratto delle condannate
L’analisi della popolazione femminile condannata a morte rivela che la maggior parte di queste donne è vittima di condizioni di estrema vulnerabilità, causate da leggi discriminatorie, povertà e violenza domestica, in un sistema giudiziario che non offre adeguate tutele.
Alcune sono state costrette a commettere omicidi per difendersi, mancando di accesso a rifugi sicuri, supporto legale o possibilità di divorzio. Altre sono state giustiziate per reati legati al traffico di droga, spesso spinte dalla povertà o costrette da partner violenti a trasportare piccole quantità di stupefacenti. Ad esempio, il report menziona Marzieh Esmaeili, madre di una bambina, giustiziata il 15 aprile 2025 per aver trasportato 600 grammi di droga in cambio di circa 100 dollari. Mina Sadoughi, madre di tre bambini piccoli, è stata impiccata il 26 novembre 2025, insieme al marito, senza che le fosse permesso di salutare i figli.
La vulnerabilità è acuita in casi specifici come quello di Goli Kouhkan, una donna appartenente a una minoranza etnica e povera del Paese, data in sposa a 12 anni e arrestata all’età di 18 anni per l’omicidio del marito, si presume avvenuto durante una colluttazione in cui era intervenuta per difendere il figlio. La donna rischia l’esecuzione a meno che non riesca a versare un risarcimento di 10 miliardi di toman (pari a oltre 90.000 euro) alla famiglia della vittima entro dicembre. L’associazione Iran Human Rights (Ihr) ha evidenziato come Kouhkan rappresenti la fascia di popolazione più debole in Iran.
Il sistema penale è utilizzato anche per colpire il dissenso politico. È il caso di Zahra Shahbaz-Tabari, prigioniera politica di 67 anni, condannata a morte in un “processo” online durato dieci minuti, dove l’unica “prova” citata era un pezzo di stoffa con lo slogan “Donna, Resistenza, Libertà“.
L’appello internazionale
Di fronte a questa politica di terrore, le manifestazioni di dissenso continuano. Oltre ai gesti di disobbedienza come la maratona di Kish, le famiglie dei condannati a morte protestano fuori dai penitenziari, a volte subendo violenze da parte delle forze di sicurezza. All’interno delle carceri, molti prigionieri hanno adottato il digiuno come segno di protesta, come gli oltre 1.500 detenuti nella prigione di Ghezel-Hesar.
Riferendosi al fatto che la degenerata cultura occidentale e capitalista è completamente respinta dall’Islam, l’imam Ali Khamenei, leader della Rivoluzione islamica, ha spiegato: “Nell’Islam, per preservare la dignità delle donne e per frenare impulsi sessuali molto forti e pericolosi, ci sono regole riguardanti l’interazione tra uomini e donne, l’abbigliamento di uomini e donne, l’hijab delle donne e l’incoraggiamento al matrimonio, che sono pienamente in accordo con la natura della donna e con i reali interessi e bisogni della società; mentre nella cultura occidentale, la frenata di impulsi sessuali infiniti e distruttivi è completamente ignorata“.
E riguardo l’obbligo di indossare l’hijab, l’imam ha spiegato il suo punto di vista proprio negli scorsi giorni nel corso di un incontro tenutosi nell’Imam Khomeini Hussainiyah, un’importante sala di riunione e preghiera a Tehran, utilizzata per cerimonie religiose sciite, dove l’Ayatollah Khamenei spesso tiene discorsi e guida i riti. Alla presenza di migliaia di donne l’Imam ha spiegato che l’insistenza dell’Occidente nell’esportare la sua cultura imperfetta nel resto del mondo, fa sì che “l’hijab” sembri “ostacolare il progresso” delle donne. “Eppure – ha aggiunto – la Repubblica Islamica ha invalidato questa logica errata e ha dimostrato che una donna musulmana dedita al velo islamico può avanzare e svolgere un ruolo influente in ogni campo, anche più di altri”.
Il Cnri ha lanciato un appello urgente alla comunità internazionale affinché venga esercitata la massima pressione per porre fine immediatamente a tale visione, repressione, alle esecuzioni e per condannare la politica sistematica di omicidi di Stato.
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