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Eni: trasformare un ‘suicidio nazionale’ in un’opportunità di crescita

Milena Gabanelli, in un interessante articolo pubblicato sul Corriere della Sera dedicato all’automotive, cita dati illuminanti sullo stato dell’industria italiana. Facendo una comparazione europea, emerge che in Italia il costo del lavoro è di 29 euro lordi l’ora, contro i 25 della Spagna, i 35 della Francia e i 44 della Germania. A farci soffrire è (soprattutto) il costo dell’energia: in Italia è di  103,7 per megawatt, contro i 91,5 della Serbia, 71,4 della Germania e 49 della Francia.

La soluzione riportata da Dataroom suggerisce nel breve periodo di disaccoppiare il prezzo delle rinnovabili da quello del gas “per destinarne una parte all’automotive in quanto settore strategico”.

Questo ci riporta alla questione Eni che invece che svenduta (facendo ulteriormente rigirare nella tomba il povero Mattei) dovrebbe diventare la leva del nostro rilancio.

Uniamo i fili della situazione (e delle prospettive) partendo da tre circostanze. La prima è che proprio Eni ha in portafoglio giacimenti favolosi: per citarne uno lo Zohr, che si prospetta il più grande bacino di gas del Mediterraneo, ideale per il trasporto via nave tramite GNL. La seconda è che il prezzo degli idrocarburi ormai lo fanno le speculazioni della finanza, spesso legate ai futures.

C’è poi la terza, più importante circostanza, l’Eni è controllata dallo Stato italiano, il che consentirebbe di fare una ardita, ma utilissima operazione.

Che senso ha avere il controllo di una multinazionale dell’oil&gas per poi comprare quello che estrae al prezzo (gonfiato) di mercato internazionale? E che senso può avere venderne una parte per farci 2 miliardi che poi vanno sprecati magari per un sostegno una tantum alla industria?

Vediamo piuttosto di sostenere l’industria e l’Italia in un modo più sensato – e sì, anche più sovrano – di quello di sbracarsi davanti ai creditori vendendo gli ultimi gioielli rimasti.

L’idea potrebbe essere quella di riprendere il pieno controllo di Eni, acquisire le azioni sul mercato tramite un’OPA, e ritirare la nostra multinazionale dalla Borsa.  Una volta ri-nazionalizzata l’Eni, lo Stato Italiano potrebbe comprare il gas (e gli altri idrocarburi) a prezzo di costo, alla faccia delle variazioni della finanza e della geopolitica.

Nell’attesa di una quadratura legislativa – da negoziare con l’Europa come contraltare di una nostra maggiore stabilità finanziaria che non dovrà garantire – potremmo pensare di utilizzare gli idrocarburi per alimentare tutti i bisogni statali (trasporti e riscaldamento) per poi andare a sostenere anche i costi delle industrie con sede in Italia.

Sicuramente qualcuno a questo punto dirà che la normativa europea ce lo vieta. Possibile sia così, ma le norme si possono sempre negoziare. Ed in linea di principio, se c’è una violazione della libera concorrenza, questa si verifica attualmente a nostro danno quando in Francia il MW/h costa 49 euro. Le centrali nucleari sono gestite da società e il combustibile la Francia se lo va a prendere nella “sua” Africa. in ogni caso si potrebbe parlare di violazione della concorrenza solo se il prezzo della nostra energia scendesse sotto i valori più bassi dell’Europa e non certo se si attuano strumenti per abbassare quello che attualmente è il più alto.

Sicuramente, la cosa più aberrante da fare, in una situazione di stallo come quella attuale sarebbe vendere quote delle nostre migliori società. Siamo chiari: l’aberrazione non starebbe nella violazione di antichi principi di sovranità (che possiamo anche nel futuro intendere in modo più esteso), ma starebbe nel fare operazioni che mutilano le poche possibilità rimaste di evitare il fallimento dello Stato.

Molti hanno notato come – al cambiare dei Governi – le politiche industriali/di sistema siano rimaste sostanzialmente invariate. Il motivo è semplice: i conti pubblici non consentono operazioni strutturali per ridurre il costo dell’energia, quello del lavoro e il rinnovo delle infrastrutture (da notare che la Germania – in chiave un po’ fordista – c’erano stipendi alti per sostenere la spesa interna e bassi costi energetici, e non viceversa come in Italia).

L’America inoltre – dopo la opinabilissima gestione Biden/Harris –  sembrerebbe avviarsi verso quattro anni di scarso intervento verso l’Europa. Bisogna quindi che ciascuno Stato faccia il meglio che può, nella consapevolezza che la Germania potrebbe garantire sempre meno per l’Italia, sia per le ristrettezze di bilancio sia per non cedere ulteriori quote ad un comprensibilmente arrabbiato AFD che reclama una rappresentanza per la componente prussiana/sassone e per quella bavarese.

In una ‘incapacità’ quindi di rinnovare il nostro sistema economico, dobbiamo quindi abbassare il costo dell’energia. La soluzione più semplice starebbe nel trasformare l’Eni nel nostro agente operativo per reperire idrocarburi a basso costo. L’operazione, sulla carta sarebbe semplicissima: “una Eni statale deve seguire solo l’interesse dello Stato e non quello dei mercati“.

Gianmaria Frati

© Riproduzione riservata

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Comunicazione si occupa di economia, trasporti e portualità. È laureato in Giurisprudenza ed appassionato di fotografia.
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