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PRATO – “A Prato stiamo assistendo a eventi di gravità inimmaginabile: si parla di mafia cinese, di delinquenza organizzata che uccide, incendia, sfrutta i lavoratori, intimidisce chi cerca di non piegarsi a sistemi inumani. Purtroppo quanto l’Unione Industriale Pratese, oggi Confindustria Toscana Nord, diceva già a fine anni Novanta, quasi del tutto inascoltata quando parlava di non solo era vero: lo era perfino al di là delle più tetre previsioni. Parallelamente a quanto accadeva in quel mondo, c’è la storia del tessile di Prato, quello “vero” della produzione di tessuti e filati tipica del distretto, segmento tecnicamente contiguo ma sia organizzativamente che per livello di gamma del tutto diverso dall’abbigliamento e maglieria in cui si concentrano le attività manifatturiere cinesi (accanto, non va mai dimenticato, a una minoranza di realtà italiane di tutto rispetto)”. A parlare è Confindustria Toscana Nord.
“Una storia, quella del tessile pratese – dice l’associazione di categoria – fatta di impegno per raggiungere il livello di vera eccellenza che gli compete oggi: eccellenza per livello qualitativo dei prodotti ma anche per responsabilità ambientale e sociale. La generalità delle imprese tessili pratesi – fatte salve le mele marce che fra le 2300 aziende locali del settore in senso stretto esistono certamente – rispetta le leggi sulla sicurezza, le regole ambientali e le imposizioni fiscali; adotta e segue i contratti di lavoro nazionali più qualificati; crede nella formazione e nel benessere dei lavoratori. Queste aziende di eccellenza non solo soffrono dei tanti problemi che affliggono le produzioni del mondo della moda – dal ristagno dei mercati ai costi energetici, dalle fibrillazioni a livello internazionale per guerre e dazi ai tanti gap che affliggono il sistema-Italia – ma trovano la propria reputazione infangata dall’essere di fatto associate a realtà del territorio che offendono e ledono gravemente l’immagine di Prato”.
“L’economia pratese vive quindi un paradosso tanto incredibile quanto reale: due settori contigui, il tessile e l’abbigliamento, talvolta confusi nella dizione, che non si assomigliano affatto – nella loro generalità, con tante e importanti eccezioni – nel rapporto con la legalità e con il secondo che macchia e danneggia la reputazione del primo. Cosa possono fare le imprese sane, in questo quadro? In primo luogo Confindustria Toscana Nord, oltre a continuare a far sentire la propria voce di denuncia, ribadisce con forza la volontà di collaborare con le autorità mettendosi a disposizione di queste con l’apporto della propria conoscenza del territorio. Plauso a chi si sta adoperando per sanare una situazione ormai così compromessa: la magistratura, le forze dell’ordine, gli enti di vigilanza, le istituzioni tutte che intendano affrontare seriamente il problema. Riteniamo doveroso supportare chi si impegna per contrastare l’illegalità e la vera e propria criminalità che si sono sviluppate a Prato”.
“L’altra sfida è la valorizzazione della parte buona del distretto – conclude Confindustria – una sfida complicatissima, su cui l’associazione sta effettuando riflessioni rese ardue da molti fattori, primo fra tutti la natura di semilavorati dei prodotti del settore tessile. Un limite, questo, per quanto riguarda il pubblico generalista, che fa legittimamente fatica a comprendere la differenza fra tessile in senso stretto e le cosiddette “imprese tessili cinesi di Prato” tante volte menzionate ma che sono imprese dell’abbigliamento e della maglieria. La buona notizia è che invece la business community internazionale del settore moda conosce bene la differenza e, pur turbata da quello che sta accadendo sul territorio e che richiede talvolta chiarimenti e spiegazioni, al tessile pratese riconosce i meriti che gli competono. Ma questo non basta per porre fine alla rabbia e alla costernazione delle imprese nel vedere il nome della città associato a fenomeni di delinquenza gravissimi come quelli che stanno emergendo”.
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