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PRATO – Detenuto trovato morto in carcere a Prato.
È successo questa mattina (18 luglio). Si tratta di un uomo rumeno di 58 anni che era nella sezione isolamento e stava scontando una sanzione disciplinare. Indagato e/o condannato per violenza sessuale, maltrattamenti, calunnia, minacce, lesioni personali la sua pena sarebbe terminata il 24 febbraio 2026. Il 58enne aveva partecipato alla rivolta del 5 luglio scorso ed è era in possesso di armi rudimentali.
All’interno della camera non sono stati trovati strumenti che inducano a ipotizzare il suicidio (né corde, né lacci). A seguito di sopralluogo effettuato, è stato disposto l’esame autoptico da parte del medico legale e si stanno esaminando le telecamere interne dell’impianto di videosorveglianza, al fine di individuare la causa della morte.
Secondo quanto riferisce la procura, che quindi non escluderebbe un atto violento, all’interno della struttura è emerso un preoccupante ricorso alla violenza da parte di gruppi di detenuti nei confronti di altri e una estrema facilità di movimento di chi è ristretto, che si estendono anche alla sezione di isolamento.
Intanto continua l’ingresso di stupefacenti come comprovato dal fatto che nella tarda serata di ieri sono stati sequestrati 5 grammi di hashish diviso in dieci dosi nella camera di sicurezza 198 dell’ottava sezione. Quanto ai telefoni cellulari dall’1 luglio 2024 a oggi ne sono stati sequestrati 44 e altri risultano nella disponibilità dei ristretti.
“La morte di un detenuto nel carcere della Dogaia a Prato segna un altro punto di non ritorno. Ma la verità è che il limite della sopportabilità è stato ampiamente superato ben prima di oggi. Chi conosce la realtà penitenziaria toscana sa che da tempo, troppo tempo, molte strutture sono al collasso”. A dirlo è Elena Pampana, presidente di Acli Toscana.
“Sulle cause della morte farà chiarezza la magistratura – dice Pampana – ma ciò che è certo è che questa ennesima tragedia avviene in un contesto segnato da sovraffollamento, carenza di personale, ingresso incontrollato di oggetti e sostanze proibite. Il carcere dovrebbe rieducare e reinserire nel mondo, ma in queste condizioni è solo una fabbrica di disperazione. E chi oggi pensa che si tratti di un problema che riguarda solo chi ha sbagliato, sbaglia due volte: perché il carcere è lo specchio della qualità della democrazia del nostro Paese”.
Acli Toscana lancia un appello per un cambiamento profondo: “Non si può più intervenire solo sull’onda dell’emergenza. Servono investimenti, personale, attenzione – conclude Pampana – ma soprattutto un nuovo patto tra istituzioni, associazionismo, comunità locali. Il carcere non si riforma da solo. Serve costruire legami tra dentro e fuori, tra la pena e il reinserimento, tra legalità e dignità. Serve una visione, serve coraggio. Acli Toscana è pronta a fare la propria parte”.